ERIK  ERIKSON


 

  •  CENNI BIOGRAFICI

E. Erikson è nato nel 1902 a Francoforte da genitori danesi. Successivamente si stabilisce a Boston, dove è il primo ad occuparsi di psicoanalisi infantile.

E’ considerato un esponente dell’era postfreudiana in ambito psicoanalitico.

I principali elementi del suo pensiero sono:

1 – Teoria psicosociale dello sviluppo della personalità

2 – Studi psicostorici – E. trae dallo studio delle biografie di personaggi noti come Lutero e Gandhi esempi e conferme della sua teoria psicosociale  dello sviluppo. Tali studi sono condotti con la stessa metodologia utilizzata in psicoanalisi clinica per ricostruire il passato dei pazienti, solo che in questo caso non si ricercano i motivi alla base di una patologia, ma si cerca di evidenziare il modo in cui gli eventi occorsi a tali personaggi, ed i conseguenti conflitti e crisi, li abbiano indotti ad agire in un modo incisivo per la collettività cambiando il corso della storia.

  • TEORIA PSICOSOCIALE DELLO SVILUPPO

Lo sviluppo avviene in una sequenza di  8 fasi durante le quali si stabilisce un mutuo adattamento tra individuo e ambiente. Vi è infatti un’interazione continua tra la maturazione psicofisica dell’organismo e la struttura della società in cui esso vive.

Lo sviluppo inizia dalla nascita e finisce con la morte e cioè comprende l’intero ciclo della vita; ogni individuo ha il suo specifico ritmo di sviluppo e le fasi precedenti non vengono mai abbandonate ma vengono tutte integrate andando a formare ciò che E. definisce un “insieme funzionante”.

Erikson utilizza un linguaggio non tecnico, per la necessità di usare parole che rimandino a valori universalmente riconosciuti dal genere umano in ogni cultura ed epoca.

Le prime 4 fasi corrispondono all’infanzia e alla fanciullezza, la quinta all’adolescenza (considerata un’età critica di passaggio) e le altre tre l’età adulta, vecchiaia compresa:

1 – Orale-sensoriale – inizia con la nascita ed è incentrata intorno all’acquisizione della fiducia di base (o della sfiducia di base): vediamo infatti che il bambino, grazie alla continuità delle esperienze sensoriali di appagamento e rilassamento di cui la madre si fa garante, sviluppa una fiducia di base e cioè la fiducia che i propri bisogni, nonostante le ripetute assenze materne, verranno soddisfatti e cioè non verranno disattesi a tal punto che il bambino perda la speranza. La speranza è la prima virtù dell’essere vivente e genera dalla precoce relazione che si ha con la madre.

Fiducia e sfiducia infatti sono modulate dalla speranza, che è descritta come la convinzione permanente della realizzabilità dei propri desideri, nel caso specifico della realizzazione dei bisogni del bambino.

Grazie ad un giusto equilibrio tra fiducia, sfiducia e speranza, il bambino impara sin da ora a tollerare la frustrazione e le delusioni acquisendo quella disposizione interiore a ridefinire continuamente i propri progetti di fronte agli ostacoli e a proiettarsi nel futuro.

2 – Anale-muscolare – in questa fase il bambino sottopone i propri desideri e bisogni al principio di realtà e quindi impara la disciplina ed il controllo dei propri impulsi. Se i genitori sono troppo severi e punitivi, ogni cedimento della disciplina e del controllo sono vissuti con vergogna ed ogni esercizio di autocontrollo indurrà un eccessivo orgoglio e sopravalutazione della volontà.

Se i genitori saranno più equilibrati nell’autoritarismo, principio del piacere e principio di realtà troveranno una buona mediazione.

In questa fase il bambino integra la virtù della volontà che rappresenta il potere di compiere delle libere scelte, prendere decisioni e dominarsi. Si sviluppa inoltre una coscienza etica che si esprime nel giudizio su ciò che è bene e ciò che è male. La degenerazione a cui può portare questa fase è detta da E. legalismo, cioè la soddisfazione nel punire piuttosto che nel comprendere e compatire, in cui la funzione di giudizio diviene funzione di pregiudizio.

3 – Genitale – La virtù che emerge in questa fase è quella della fermezza dei propositi, come capacità di tener fede a un progetto e di portare a termine un compito. Dal perseguimento zelante e machiavellico dei propri scopi (ciò che conta è raggiungere il fine), può instaurarsi un senso di colpa. Caratteristica di questa fase è il gioco e la drammatizzazione in cui il bambino inscena ruoli diversi, imita, si identifica e sperimenta le proprie capacità. La fissazione a tale fase può portare l’individuo adulto a mettere in scena un’identità che non gli appartiene.

4 – Periodo di latenza – La virtù che emerge in questa fase è il senso di competenza ed efficacia; le energie del bambino si spostano dal gioco  a compiti più maturi come la scuola, lo sport, l’arte, lavori di destrezza manuale e tecnica. E’ importante in tale fase che l’energia del ragazzo venga canalizzata in compiti di adeguata difficoltà e che generino in lui una motivazione. E’ un momento delicato in cui il bambino può acquisire una certa sicurezza e padronanza delle proprie capacità di operare, ciò che gli consentirà di sviluppare una buona competenza lavorativa, in caso contrario si produrrà un inibente senso di inferiorità.

Inoltre il bambino riceve qui un’educazione formale, impara a dominare le proprie reazioni in presenza di altri e a differire una soddisfazione immediata per una gratificazione ottenuta con disciplina, costanza e sforzo.

5 – Adolescenza – compito dell’adolescente è quello di acquisire un senso di identità stabile basato sulla consapevolezza dei tratti intrinseci della propria individualità, dei propri desideri e obiettivi, gusti, idiosincrasie, potenzialità, abilità e limiti. Tale consapevolezza si sviluppa attraverso l’identificazione con i pari e con figure significative e stimate. Spesso vi è un’adesione ad un’ideologia di cui è di fondamentale importanza il senso di appartenenza ad un gruppo, che conferma l’adeguatezza dei propri valori e del proprio modo d’essere.

In tale fase l’adolescente affronta una crisi di identità volta a superare l’ambivalenza che genera da due tendenze contrapposte: riluttanza ad abbandonare le sicurezze e le garanzie del mondo infantile e l’irresistibile richiamo verso il mondo adulto avvertito come complesso, sconosciuto ed inquietante.

Un grosso ostacolo alla costruzione dell’identità è un sentimento profondo di inferiorità definito identità negativa, che è l’angosciosa percezione di se stessi come indegni o inadeguati rispetto al mondo. Una tipica difesa da tale sentimento verso se stessi è la proiezione verso gli altri del sentimento di inadeguatezza ed inferiorità, che dà origine a pregiudizi, discriminazioni razziali, rifiuto del diverso e spesso crimini.

6 – Inizio età adulta – la ricerca di relazioni d’amore non è più, come nell’adolescenza, utile a sviluppare un’identità più consolidata, ma risponde alla necessità di legare la propria individualità a quella di un altro essere umano. La virtù di tale fase è dunque l’amore.

7 – Generatività – la generatività è la spinta a creare e produrre, che può prender forma nel campo del lavoro, dell’impegno sociale e della famiglia anche attraverso la nascita dei figli. Qualora tale generatività non trovi sfogo in uno dei suddetti ambiti, la personalità regredisce dando origine ad un senso di vuoto, impoverimento e ristagno.

La virtù di questa fase di piena maturità affettiva e creativa è la sollecitudine, intesa come la tendenza ad occuparsi del proprio simile sotto varie forme come la cura, l’assistenza, il sostegno morale ed economico, l’allevamento dei figli e la trasmissione della cultura. Il patrimonio culturale necessita di essere trasmesso e ciò si manifesta nell’attitudine ad infondere, attraverso l’esempio personale, valori, ideali e modelli esistenziali.

8 – Vecchiaia – E’ la fase che rende originale il contributo di Erikson poiché estende lo sviluppo della personalità sino alla vecchiaia. In questa fase infatti vengono integrate delle importanti dimensioni psicologiche come l’integrità e la disperazione: si medita sulla propria vita cercando darle un ordine ed un significato. Vi è anche l’affermazione dignitosa della propria individualità e del proprio stile esistenziale e l’assenza del bisogno di essere accettati e di piacere.

E’ il tempo dei bilanci esistenziali, momenti drammatici in cui si cede alla tentazione di rimpiangere un passato ritenuto migliore di quel che è stato, in cui si fa avanti la realtà inevitabile della morte. Affinché questa fase non sfoci in un cupo senso di decadimento è importante integrare la virtù della saggezza che permette di guardare con distacco alla vita e alla morte, permettendo all’individuo di recuperare nella vecchiaia una certa vitalità e gaiezza. L’aspetto negativo che si può sviluppare in questa fase è la supponenza e cioè la convinzione poco saggia di essere davvero saggi.

  • LA REVISIONE DELLA CONCEZIONE PSICOANALITICA DELL’IO

Erikson ha rovesciato la visione di un Io difensivo, asservito alle esigenze dell’inconscio e della realtà, definendolo invece come creativo, in quanto, nel combinare le imperiose esigenze dell’Es con le opportunità di volta in volta offerte dalla realtà esterna, mette in atto la sua capacità creativa. L’Io non subisce il conflitto tra pulsioni e realtà ma si nutre di esso, trovando nella crisi nuove possibilità esistenziali.

Erikson attribuisce all’Io e non alle motivazioni inconsce il ruolo fondamentale nell’organizzazione e nella dinamica della personalità e si discosta dalla tendenza psicoanalitica a rintracciare nel passato le origini delle nevrosi, valorizzando il presente in quanto è in esso la possibilità di inventarsi la vita e di svincolarsi dalle imposizioni esterne ed interne che causano eccessiva sofferenza.

L’Io ha un’origine genetica e costituzionale ma anche storica, culturale e ambientale.

 

 

 

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